Del perché ci abbuffiamo di frutti di mare a Natale
Come l'aragosta e i suoi “cugini” si sono trasformati da cibo per maiali alla prelibatezza per eccellenza di Capodanno.
Nel Mediterraneo, la dieta a base di cozze, polpi o aragoste fu apprezzata sin dalla Grecia classica.
Tuttavia, che i frutti di mare e i crostacei venissero consumati fin dall’antichità non significa che fossero associati al lusso. Al contrario: la loro abbondanza e la difficoltà di trasportarli in buone condizioni verso l’interno, li relegarono per secoli al ruolo di alimento strettamente legato alle aree costiere. Città in cui la loro eccedenza, o le specie meno apprezzate, venivano utilizzate come mangime per bestiame o fertilizzante per i campi. Oggi ci sembra inconcepibile che i teneri granchi o i percebes (peduncolata) possano finire tra i maiali o a fertilizzare un campo di grano, eppure era ancora così all’inizio del XX secolo. Fortunati maiali e alberi!
Da lì, crostacei e frutti di mare venivano consumati soprattutto durante le feste, per lo più stabilite dal calendario cristiano che organizzava le vite nei paesi mediterranei e associava ogni data in “rosso” a regole da seguire, pena l’inferno. A tavola, le regole riguardavano principalmente il digiuno e l’astinenza, con quello spirito guastafeste che il clero del tempo amava indirizzare alla tavola del prossimo. Durante la vigilia di Natale, ad esempio, non si potevano mangiare carne o burro e la plebe si rivolgeva al mare per placare la fame nei suoi banchetti. In Italia si celebrava, allora come oggi, la “Festa dei sette pesci”: una cena composta da altrettanti piatti di pesce e frutti di mare che, apparentemente, rappresentavano i sette sacramenti. O forse la fame da lupo dei commensali, visto che in alcune zone del paese i sette piatti de “La Vigilia” sono diventati 11 o addirittura 13 (teoricamente per la somma dei 12 apostoli e Gesù Cristo che divideva il pane e il vino, come li rappresentò Leonardo).
Così cominciò l’uso dei frutti di mare e dei crostacei per le celebrazioni: nel caso di Spagna e Italia si diffusero a metà del secolo scorso, di pari passo con l’evoluzione dei metodi di refrigerazione, dei camion e dei treni, che consentirono a gamberi e calamari di raggiungere le zone interne, dove fino ad allora l’astinenza dalla carne era stata affrontata con ricette fantasiose a base di baccalà o grongo. Rispetto ai sapori forti di quei piatti, l’arrivo dei frutti di mare e dei crostacei freschi fu accolto come una piacevole novità. Non poteva andare diversamente!
Mangiare frutti di mare e crostacei oggi, tuttavia, non è più solo un piacere per pochi fortunati. Nei mesi invernali le pescherie si riempiono di tutte le specie immaginabili a prezzi diversi. L’industria dei surgelati ne consente la disponibilità per tutto l’anno a prezzi accessibili e con infinite varietà e qualità. La gastronomia, inoltre, ha sviluppato un’infinità di ricette che ogni chef (bravo o meno) può adattare alle sue capacità e al suo budget. Dai semplici gamberi cotti e guarniti di maionese che fanno impazzire migliaia di spagnoli sulle tavole natalizie, fino ai menu della vigilia di Natale italiana, sconfinati come il mare. È proprio il caso di aprire quei crostacei, succhiarli, bagnarli, immergerli nelle salse e sentire con quel profondo retrogusto salino che siamo vivi e che scalciamo per iniziare un nuovo anno.